Archeovoci
Come accennavo, la preparazione della mostra al Museo Archeologico Nazionale di Firenze (dic/10-set/11) è stata anche l'occasione di riprendere a scrivere. Volevo dare ai reperti una voce, oltre alla dimensione alternativa, al volto nuovo con il quale ciascuno di loro avrebbe dialogato all'interno delle sale del Museo.
Ho quindi elaborato una serie di componimenti poetici, immaginando che fossero i reperti stessi a raccontare al pubblico qualcosa di sé.
L'amica Patrizia Mazzoni, apprezzata attrice fiorentina, ha porto i miei testi con garbo durante l'inaugurazione della mostra, alternando i suoi interventi con quelli di Paolo Boschi, esperto di formazione ed analista d'arte (ved. Filtrismo), che ha lasciato fluire brani dal catalogo "Archeovisioni" di cui è autore.
A loro, il mio ringraziamento.
Era però vivo il desiderio che queste "voci" dal passato non andassero disperse; e poi, questa mostra aveva una storia, che volevo condividere con il pubblico.
Nacque così il piccolo volume "Archeovoci", con la prefazione dell'amico Valerio Varesi, giornalista de "La Repubblica" e scrittore, tradotto con successo in vari Paesi. Anche per Valerio, il mio ringraziamento.
Un ringraziamento speciale a Giuseppina Carlotta Cianferoni, allora Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che ha apprezzato così tanto il mio linguaggio artistico ed il mio modo di operare sulla realtà da voler dare ampio spazio e opportunità al progetto "Archeovisioni".
Ed ecco la prefazione di Valerio Varesi:
"La tensione costante di ogni artista è quella di far combaciare l’idea e il risultato. Nello scarto che li separa consiste la frustrazione di chi immagina un’idea e la vede parzialmente sciogliersi nell’abbraccio con il quale si cerca di cingerla. È come se lo slancio di conoscerla la deturpasse. L’incessante sforzo è allora quello di ridurre al minimo lo scarto, quell’ineliminabile confine che separa il noumeno dal fenomeno.
Confine che persiste persino nella fotografia, com’è mirabilmente rappresentato da Wim Wenders in "Alice nelle città", quando la visione dello scatto istantaneo non riesce a restituire la magia della visione diretta. La fotografia sembra persino abdicare al ruolo di testimonianza oggettiva del reale. La pretesa "verità" che dovrebbe rivelare si sfarina e scompare in una beffarda dissolvenza col progredire dell’approfondimento. Anche in questo caso appare emblematico il "Blow-up" di Michelangelo Antonioni, non a caso ispirato da Cortazar, dove la foto rivelatrice, via via ingrandita con lo scopo di rivelare l’esistenza di un cadavere, finisce per appannarsi in una nebbia che mostra solo il nulla come approdo finale.
Così, l’inseguimento della chimera da parte di Daniela Corsini appare fin dall’inizio una corsa verso un cielo irraggiungibile. Ma l’artista ne sembra consapevole e scaltramente, rinunciando al dualismo tra la realtà e la sua riproduzione, come tutti i creatori si fabbrica un mondo proprio in cui sentirsi demiurgo e giudice assoluto. Un nuovo orizzonte che cambia significato e sguardo alle cose, ma ugualmente condivisibile e comunicabile.
Con la stessa scaltrezza, Daniela Corsini presenta le immagini accompagnate da testi birichini e ammiccanti che diventano protagonisti. Non sono solo didascalie, ma vere e proprie narrazioni, molto spesso scherzose, che assurgono al ruolo di mini racconti. Del resto, le immagini sono racconti in forma figurata.
Tra la parola e la sua rappresentazione il matrimonio è celebrato da tempo e appare tuttora indissolubile."
Valerio Varesi
E naturalmente ... per le mie immagini, visitate le Gallerie!